Mediare per deliberare

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di Riccardo Maggioni*

Nel presente intervento si propone di impostare la mediazione come una procedura finalizzata a far sì che ciascuna parte coinvolta possa anzitutto prendere la propria personale e consapevole decisione riguardo al conflitto, nella prospettiva di favorire il raggiungimento di una soluzione comune comunque non obbligatoria, né scontata.
Le motivazioni alla base del suddetto approccio sono più d’una. In primo luogo, chiedere apertamente a chi si trova coinvolto in un conflitto esacerbato di sedersi ad un tavolo con la controparte “per fare la pace” può facilmente creare un automatico riflesso di rifiuto, specie se chi lo fa è il legale al quale ci si è affidati per sconfiggere l’avversario, legale che potrebbe vedere così messo a rischio lo stesso rapporto fiduciario instaurato con il proprio assistito. Su un piano generale, ove ci si sforzi di superare una contrapposizione meramente polemica per cercare di comprendere le ragioni della vivace resistenza opposta dal ceto forense alla mediazione obbligatoria introdotta ope legis nel 2010, non secondario appare il disagio rispetto ad una conciliazione sentita come un’imposizione, quasi che si intimasse alle parti in conflitto l’ingiunzione paradossale “mettetevi d’accordo!”, laddove nessun accordo può esistere, in difetto di uno spontaneo e reciproco consenso. La diffusione ed il successo della mediazione come metodo di risoluzione dei conflitti sono invero direttamente proporzionali al riconoscimento sociale del valore di libere scelte individuali, autonome e responsabili, sul presupposto di rapporti paritari e non gerarchici, nei quali le parti si trovano tra loro su di un piano di uguaglianza e non di soggezione l’una rispetto all’altra.
Date tali premesse, non deve stupire se sul piano della comunicazione risulterà senz’altro più proficuo ed accattivante proporre agli interessati una procedura di mediazione con lo scopo principale di aiutarli a prendere una decisione autonoma e consapevole, piuttosto che metterli di fronte alla prospettiva di una conciliazione imposta dall’alto, in situazioni ove spesso non vedono alcun motivo per ricercare un accordo.
Gli stessi R. Fisher e W. Ury, fondatori come è noto dello Harvard Negotiation Project, nel loro libro Getting to yes propongono del resto un modello di negoziazione ove ciascuna delle parti possa addivenire ad una deliberazione autonoma e responsabile sull’oggetto del contendere, prendendo in considerazione gli interessi sottostanti alle posizioni e gestendo l’emotività, per generare soluzioni creative. Tale approccio negoziale risulta potenziato nella mediazione grazie all’aiuto che le parti ricevono dalla partecipazione di un terzo imparziale, indipendente e neutrale in un contesto volontario, informale e riservato sia verso l’esterno che all’interno, con la possibilità di rivelare solo al mediatore informazioni che non si ritiene opportuno svelare alla controparte, ma che ciò non di meno possono risultare importanti per imbastire un accordo consensuale.
L’approccio pragmatico, di stampo tipicamente anglosassone, adottato dallo Harvard Negotiation Project per promuovere una scelta autonoma e responsabile, si trova in sintonia con l’opera di Chaim Perelman, studioso belga di origini polacche che si è occupato di logica e filosofia del diritto e nel 1958 ha pubblicato il “Trattato dell’argomentazione”, recante il sottotitolo “La nuova retorica”, la cui prima edizione italiana risale al 1966 con una penetrante prefazione di Norberto Bobbio.
Chi ha familiarità con la mediazione, potrà forse rimanere stupito dal fatto che Perelman contestava come artificiale e arbitraria la separazione netta tra la sfera della razionalità e quella delle emozioni, anticipando di decenni – sulla base di una speculazione puramente teorica – i risultati delle più moderne neuroscienze, in particolare le tesi del neurologo Antonio Damasio, che nel libro l’“Errore di Cartesio” pubblicato nel 1994, ha divulgato la necessità di integrare razionalità ed emotività per poter assumere decisioni sensate, inaugurando un filone di ricerche che si avvale delle più sofisticate tecniche sperimentali neurologiche (ad esempio la risonanza magnetica) ed è a tutt’oggi ancora in corso, con sviluppi lungi dall’essere esauriti.
Orbene, in consapevole polemica con il razionalismo di stampo cartesiano dominante da secoli, nel 1958 Perelman scriveva che al di fuori dei campi circoscritti della logica formale e delle scienze esatte, ove può essere perseguita una vera e propria dimostrazione grazie al metodo analitico proprio di tali discipline, è indispensabile utilizzare mezzi di persuasione intrinsecamente non costrittivi, cioè argomentazioni tendenti a suscitare adesione in misura maggiore o minore ma mai assoluta, senza per questo rinunciare ad argomentare con quella razionalità che resta caratteristica distintiva di ogni essere ragionevole.
In questa prospettiva Perelman si riallacciava esplicitamente alla tradizione della retorica classica – e in parte della dialettica – che veniva intesa come studio dell’argomentazione efficace e razionalmente fondata, ancorché senza pretesa di assolutezza, prima di essere confinata a mera ricerca estetica, di valore puramente letterario, dal razionalismo trionfante con la sua promessa di risolvere ogni problema umano mediante l’accesso a verità assolute e tali da convincere qualunque essere ragionevole, promessa però mai mantenuta e rivelatasi anzi del tutto irrealistica.
Di particolare interesse ad avviso di chi scrive, il fatto che Perelman considera i casi di argomentazione rivolta ad una molteplicità di persone, nonché ad un solo interlocutore e, al limite, anche a sé stessi, tutte fattispecie che possono essere riportate ad uno schema unitario nella prospettiva di consentire una deliberazione ispirata ad un criterio di razionalità adeguata, ancorché emancipata dal mito di un’impossibile assolutezza.
Alla luce di quanto sopra la Teoria dell’argomentazione, ancorché oggi poco nota, si può ben integrare con le tecniche di mediazione facilitativa e l’approccio empirico ad esse sotteso, offrendo un solido fondamento teorico a tali tecniche e, ancor prima,  alla mentalità che ne costituisce il presupposto e che è essenziale diffondere, se si vuole favorire un consapevole uso della mediazione per risolvere i conflitti grazie ad una cosciente ed efficace opera di deliberazione e persuasione.

Per ulteriori approfondimenti: www.argomentare.it

BIBLIOGRAFIA

Barilli R., La retorica. Storia e teoria. L’arte della persuasione da Aristotele ai giorni nostri.  Fausto Lupetti Editore 2011.
Damasio A., Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain. New York, Putnam (1994) Trad .it. L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano Milano, Adelphi.               
Fisher R. Ury W. & Patton B., Getting to yes. Negotiating an agreement without giving in.  Random House, 1999 (ristampa ed. 1991)
Perelman C. Olbrechts-Tyteca L., Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica Einaudi 1966 (I ed. originale 1959)
Piattelli Palmarini M., L’arte di persuadere. Mondadori 1996
Mortara Garavelli B., Manuale di retorica. Bompiani 1989

* avvocato in Milano, mediatore

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